Onorevoli Colleghi! - Nel 2011 ricorrerà il 150o anniversario dell'Unità d'Italia; una data, anzi, un anno intero durante il quale dovranno essere svolte manifestazioni, commemorazioni ed importanti celebrazioni in ricordo della storia della nostra Patria, della nostra identità culturale e religiosa prima che politica e soprattutto territoriale. È noto, infatti, che per completare l'unità territoriale si è dovuto attendere il 1870, con la presa di Roma; ma questa è solo l'ultimo, seppure fondamentale, passaggio, a conclusione del lungo, tumultuoso e appassionante percorso storico risorgimentale, fatto di ideali e di battaglie volte ad ottenere in primo luogo la liberazione dell'Italia dalle dominazioni straniere e successivamente l'unificazione territoriale e politica della nostra Nazione.
      Prima del periodo napoleonico, l'ideale dell'unità d'Italia era stato perso in seguito alla caduta di Roma antica e alle divisioni a essa seguite nel periodo feudale e rinascimentale.
      La diffusione delle idee liberali dell'ottocento, alimentate da ideali romantico-nazionalisti, e il desiderio di migliorare la situazione socio-economica della penisola, approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione industriale e superando la sua frammentazione in Stati illiberali, sostenuti dall'egemonia austriaca, spinsero anche i rivoluzionari italiani a sviluppare un'idea di Patria e ad auspicare la nascita di uno Stato nazionale analogamente a quanto avvenuto per altre potenze europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
      Le esperienze repubblicane vissute da alcune regioni e da alcune città in seguito alla discesa dei francesi in Italia avevano dato impulso ai moti indipendentisti e avevano inoltre creato le premesse di una divisione sociale (maggiore laicizzazione al nord) ed economica (maggiore ricchezza al

 

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sud) che vedeva favorito quest'ultimo, come dimostrano i primati dell'epoca borbonica.
      Con queste premesse, nel quadro degli interessi internazionali di Inghilterra e di Francia, divenne appetibile un'unificazione politica sotto il controllo del Regno di Sardegna filo-francese, piuttosto che una federazione autonoma di Stati italiani che non avrebbe portato vantaggi economici agli Stati settentrionali.
      La diffusione di queste idee, che segue il Congresso di Vienna, porta alla circolazione di gazzette letterarie e alla nascita di salotti borghesi che sotto il pretesto letterario crearono veri e propri club di tipo anglosassone, che si prestavano a coprire società segrete; in tale quadro gli esuli italiani facevano da tessitori di contatti con potenze straniere e all'interno di tale quadro nacquero le prime società segrete, tra le quali quella dei Carbonari, promotrice - a partire dal 1814 - dei moti rivoluzionari a Napoli che culminarono con la presa della città nel 1820, che segna anche la prima sconfitta da parte dell'Austria intervenuta per tutelare i propri interessi egemonici.
      Successivamente, i moti del 1831 - stimolati dall'ascesa in Francia della monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orléans e che si sviluppano soprattutto nei ducati padani (Modena, Parma, Bologna, Reggio) e nelle Romagne (Stato della Chiesa) e tutti duramente repressi - sono i primi a essere ispirati in modo chiaro e determinante dall'idea di una unificazione nazionale. Pur essendo presente, in essi, una partecipazione più attiva della borghesia, anche i moti del 1831 non riescono a modificare le condizioni politiche italiane e il motivo è lo stesso dei moti del 1820-1821: l'incapacità di attirare nella lotta rivoluzionaria le masse contadine, affrontando la questione agraria. Su queste problematiche si concentrerà soprattutto Mazzini che, con la sua «Giovine Italia», mira a coinvolgere anche gli strati borghesi e contadini nelle aspirazioni unitarie e indipendentiste.
      Ci vorranno ancora diversi anni finché, in seguito ai moti del 1848 sviluppatisi a Palermo, Messina e Milano e sull'onda dei movimenti rivoluzionari in atto in molte parti d'Europa, si giunge alla prima guerra d'indipendenza, che, tuttavia, si conclude con la sconfitta di Custoza e l'abbandono, da parte dei piemontesi, della Lombardia, e con l'accettazione dei confini precedenti alla guerra, come stabiliti nel 1815 dal Congresso di Vienna.
      Nonostante ciò le esperienze indipendentiste vissute proprio in quegli anni da città come Firenze, Roma e Venezia continuano a rafforzare la volontà di tutti coloro i quali oramai si battono per l'ideale di un'Italia unita e libera dalle dominazioni straniere. Dopo i moti del 1848, inoltre, in Piemonte arrivano proprio gli artefici della costruzione dell'Unità d'Italia: Vittorio Emanuele II di Savoia e Cavour, le cui abili manovre soprattutto in ambito internazionale riusciranno a portare alla ribalta la questione dell'Italia unita in tutta Europa.
      Comincia così l'inarrestabile processo che porterà - passando attraverso la coraggiosa impresa garibaldina - all'Unità del Regno d'Italia, proclamata da Vittorio Emanuele II il 17 marzo 1861 e al completamento dell'unità territoriale con l'ingresso di Venezia nel Regno nel 1866 e il plebiscito del 2 ottobre 1870 che sancisce l'annessione di Roma al Regno d'Italia. Rimangono all'Austria solo Trento e Trieste, per le quali si dovrà attendere fino al 4 novembre 1918, con la vittoria di Vittorio Veneto e il ricongiungimento delle due città all'Italia.
      La presente proposta di legge intende quindi riconoscere la giusta importanza a questo fondamentale processo storico, culminato con la proclamazione dell'Unità d'Italia e il completamento dell'unità territoriale, e ribadire i valori della comunanza ideale, politica ma soprattutto culturale del nostro Paese. L'allora Presidente della Repubblica Ciampi ha rivolto da Torino un appello affinché il Paese si predisponga a ricordare nel modo più ampio e articolato il 150o anniversario dell'Unità. Questo appello è stato raccolto dalle regioni dalle quali mosse il processo di unificazione con la costituzione dei comitati «Sardegna 2011» e «Torino
 

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2011». Tali comitati hanno avviato importanti attività.
      La presente proposta di legge prevede l'istituzione di un Comitato nazionale con il compito di definire il programma delle manifestazioni nazionali e di attivarne, curarne e coordinarne la realizzazione anche sotto il profilo finanziario. Il Comitato avrà sede presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e dovrà approvare - entro il 31 dicembre 2010 - un programma di celebrazioni, nel quale saranno recepite anche le proposte avanzate dai comitati istituiti su base regionale.
 

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